Piero della Francesca, riscoperto dalla critica in tempi relativamente recenti, è un pittore enigmatico e affascinante vissuto nel XV Secolo. La sua capacità di trattare allo stesso ottimo modo la materia pittorica e la teoria geometrica, rappresenta la vera sintesi dell’umanesimo. Il Rinascimento è debitore da Piero della Francesca di uno dei suoi concetti più alti: la sintesi razionale fra uomo e Dio, fra fenomeni naturali e regole matematiche. Proprio per questo la pittura chiamata Madonna del Parto a Monterchi è un capolavoro assoluto.
Piero della Francesca, celebre pittore e matematico protagonista del Rinascimento, nacque nel secondo decennio del Quattrocento a Sansepolcro. Quella sulla data di nascita non è l’unica incertezza che riguarda la vita e l’opera del sommo artista, caratterizzate da una notevola mancanza di documenti e elementi certi. Questo naturalmente apre altri interrogativi sulla datazione di alcune opere, alcune delle quali da sempre molto controverse, e sulla sua formazione. Recenti studi sulla famiglia del pittore collocano tuttavia la sua data di nascita nel 1412. Secondo la tradizione il primo maestro di Piero fu Antonio d’Anghiari, pittore attivo a Sansepolcro e con il quale il biturgense collaborò più volte a partire dal 1430. Alcuni studiosi rifuggono questa ipotesi, dal momento che Sansepolcro dal punto di vista artistico era spostata verso Siena e la vicina Umbria, mentre le prime opere di Piero mostrano una profonda conoscenza dell’arte fiorentina del primo Quattrocento.
Questo lascia presupporre un soggiorno a Firenze precedente a quello del 1439, quando è certa e documentata la sua presenza nel capoluogo toscano come collaboratore di Domenico Veneziano negli affreschi di Sant’Egidio. Sicuramente l’esperienza con il Veneziano segna una svolta importante nella formazione artistica di Piero, che a Firenze ebbe modo di prendere visione dei capolavori di Masaccio e Donatello ma anche della corte sfarzosa e variopinta dell’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo, in città per il Concilio, la cui memoria riemerge nei capolavori pierfrancescani di Arezzo. Nel 1442 Piero è di nuovo a Sansepolcro, membro del consiglio pubblico. Risale al 1445 la commissione del Polittico della Misericordia, lavoro che porterà avanti in modo discontinuo per oltre 15 anni. Causa di questo ritardo sono anche i numerosi viaggi che l’artista fa, soggiornando nelle principali corti dell’italia centro settentrionale. Anche per quanto riguarda questi spostamenti ci sono alcune lacune e incertezze. Lo troviamo prima a Ferrara ospite di Lionello d’Este, impegnato nell’esecuzione di affreschi andati completamente perduti ma che hanno lasciato il segno nella scuola pittorica locale.
A Ferrara Piero ebbe sicuramente un contatto con l’arte fiamminga, in particolar modo con Rogier Van Der Weyden (pittore fiammingo, 1399-1464). Nel 1451 è a Rimini alla corte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, del quale eseguì l’affresco che lo ritrae in adorazione all’interno del Tempio Malatestiano rinnovato in forme rinascimentali da Leon Battista Alberti, che probabilmente ne incoraggiò le ricerche e gli studi su prospettiva e proporzione. Successivamente Piero torna nella sua terra natale e attorno al 1452 prende il posto del fiorentino Bicci di Lorenzo nell’esecuzione del ciclo di affreschi con le Storie della Vera Croce in San Francesco ad Arezzo.
Risale agli stessi anni la realizzazione della Madonna del Parto a Monterchi. Nel 1458 il pittore è a Roma, chiamato da Pio II. Eseguì affreschi nel Palazzo Apostolico, in seguito distrutti per far posto alle Stanze di Raffaello e in Santa Maria Maggiore, dove si conserva una figura eseguita dagli aiutanti ma niente di autografo. Nel 1467 realizza a Perugia il Polittico di Sant’Antonio, oggi nella Galleria Nazionale dell’Umbria, e due anni dopo lo troviamo ad Urbino, alla corte di Federico da Montefeltro, dove soggiornò più volte tra il 1469 e il 1472. Risalgono a questo periodo alcune delle opere più celebri dove l’uso della luce si accompagna con la geometria degli spazi e delle figure, come la Flagellazione, la Madonna di Senigallia e la Sacra Conversazione, in seguito conosciuta come Pala di Brera. Il fervido ambiente intellettuale della corte diede un notevole impulso a Piero, che si dedicò anche alla stesura di alcuni trattati teorici come il Trattato d’Abaco, il Libellus de Quinque Corporibus Regolaribus e il De Prospectiva Pingendi. Negli ultimi anni della sua vita fu colpito dalla cecità, che gli impedì di lavorare e portare a termine l’ultima sua opera, la natività oggi a Londra. Muore a Sansepolcro il 12 ottobre 1492. Una coincidenza, nello stesso giorno dello stesso anno Cristoforo Colombo scoprirà le nuove Indie
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